Probabilmente sono un nostalgico dell’infanzia, però è vero anche che a volte entrare in un centro commerciale è un’esperienza mistica all’inizio (saranno i colori e la musica rigorosamente a tutto volume. Metti che vuoi scambiare due parole con quello vicino a te!), capace di diventare paradossale e comica quando ne esci.
Vai per cercare una cosa, non la trovi dopo quasi 5 minuti di giri dove trovi di tutto, tranne quello che ti serve. E mi ritrovo a confrontarmi con lo sguardo annoiato e perplesso dell’operatore (trovato per caso) in cerca di una soluzione.
Eppure da bambino era diverso: “Daniele vai da Rosaria e compra un etto di mortadella”. I soldi erano quelli e non c’era lo spazio neanche per fantasticare una caramella. Quel mio desiderio lo guardavo con aria depressa confidando ogni tanto nello sguardo benevolo della donna tuttofare (Rosaria faceva tutto: cassiera, banconista, puliva per terra, apriva e chiudeva il negozio. Lunedì chiuso!) mossa a pietà: “Vuoi una caramella?” ed avevo paura di dirle di si per non incorrere nei rimproveri di mamma e a letto senza cena.
Rosaria nella sua bottega aveva tutto. Non esageriamo: aveva tutto il necessario. Il superfluo era bandito pure nei pensieri. Figurarsi sugli scaffali!
Quei negozietti erano umani, erano vita quotidiana fatta di scorze e pane duro (della carne ne avevo sentito parlare ma non ne ero certo dell’esistenza!), dove la bottegara sapeva tutto di tutti e se volevi sapere qualcosa (quando trovavi quel tempo utile a volerlo sapere) ti bastava andare da lei. Alla cassa o al banco dei salumi c’era quell’umanità che oggi si è persa in volti tutti uguali e sorridenti, avvolti in formalità base “salve”, “buongiorno”, “buonasera”. Stop!
Non si parla più! Alle volte mi chiedo perché ancora non hanno messo le macchine elettroniche alla cassa. La voce elettronica è più umana di certi esseri umani, imbalsamati alla cassa da movimenti standard.
Beati gli ultimi, perché saranno i primi. A uscire dal supermercato!